Federmanager Trento
 

parliamone !

numero 2 dell'8 marzo 2022

 
 
... e se i maschietti pensassero (e facessero) da Donna?
c’é da riflettere e…

Cronache dal 2022: la parità di genere è ancora lontana, ma forse non irraggiungibile 

Cosa significa parità di genere? Si intende la possibilità e necessità di pretendere lo stesso trattamento a livello sociale, lavorativo e giuridico a prescindere dal genere; questa definizione è stata reputata talmente importante da diventare l’Obiettivo numero 5 nell’Agenda 2030.

Perché si parla ancora di parità di genere quando le donne hanno sostanzialmente gli stessi diritti degli uomini? Semplice, il fatto che ci siano i diritti non significa che esista la parità.

La parità di genere è un concetto che, per quanto sia ovviamente legato ai diritti, si colloca in una dimensione forse più astratta: la mentalità collettiva o sociale di un paese.

Per spiegarlo è necessario fare una premessa: viviamo ancora in una società patriarcale e maschilista.

Niente, l’ho detto, e sicuramente si leveranno al cielo tanti: “ma le donne possono fare tutto quello che vogliono, hanno i diritti ecc..”.

Al di là della mia concreta voglia di rispondere “Grazie al ca**o”, è necessario soffermarsi sulla concezione, sia maschile che femminile (la mentalità patriarcale non ha genere), che le donne siano libere e abbiano le stesse opportunità della controparte maschile.

Non credo ci si possa stupire della mancanza di parità, quando si vive in un sistema sociale e scolastico che persevera nel diffondere stereotipi di genere e concezioni che ormai dovrebbero risiedere nel medioevo.

Faccio un paio di esempi concreti: solo il 16% delle donne è specializzato in materie STEM in Italia e a livello mondiale solo il 20% delle donne è CEO.

In Italia si ha ancora la concezione che le donne non siano prima di tutto portate per le materie scientifiche, ma soprattutto che si debbano ancora relegare nell’ambiente familiare o in quello lavorativo di cura. È più socialmente accettabile che le donne lavorino come infermiere, ma meno come ingegnere (forma plurale di ingegnera).

Oltre quindi all’aspetto scolastico discriminante, si ha quello sociale: le donne sono ancora considerate come l’unico elemento familiare che si deve occupare della cura dei figli e della casa, mentre l’uomo è colui che deve provvedere economicamente al fabbisogno familiare.

Mi sono sempre chiesta come gli uomini non si offendano quando vengono considerati come pressoché inutili nel contesto familiare, il cui ruolo è principalmente quello di far divertire i figli ma non di essere partecipi nella loro crescita.

Anche questo è un concetto strettamente legato non solo alla parità di genere, ma soprattutto a un sistema sociale patriarcale che limita non solo le donne ma anche gli uomini.

Ritorniamo alle donne, a loro viene chiesto di lavorare e di gestire tutto l’ambiente familiare; credo che sia chiaro anche a voi quanto impossibile sia far conciliare perfettamente i due aspetti, non è possibile “lavorare come se non si avesse figli, avere figli come se non si lavorasse”.

È uno dei motivi per cui la parità di genere e le attiviste si incentrano molto sulle politiche di welfare in quanto, se queste esistessero, sarebbe possibile per entrambi i generi conciliare tutti gli aspetti della propria vita senza doversi limitare.

Immaginate la costruzione di un asilo all’interno di un’azienda, chi ne gioverebbe?

La risposta è semplice: tutti.

L’asilo, per esempio, sarebbe comodo non solo alle donne, ma anche agli uomini che avrebbero la possibilità di lasciare in un luogo sicuro e accessibile i propri figli.

Chiedo scusa, mi sto focalizzando sulle famiglie etero e composte da due genitori, ma questa non è la realtà. Dalle politiche di welfare padri e madri single potrebbero giovarne dando loro modo di concentrarsi sul lavoro senza doversi preoccupare costantemente.

La parità di genere è questo: aiutare o trovare una soluzione che sia favorevole per tutti i generi, senza discriminazione.

Vorrei fare un appunto sulla questione di parità di genere e lingua.

È necessario che la lingua evolva nel tempo e questo significa utilizzare, quando la grammatica lo permette, il femminile delle professioni; utilizzare il termine ingegnera, non è offensivo e non è scorretto, ma dà modo alle persone di sentirsi rappresentate.

La lingua è rappresentazione e, se non la si usa correttamente, limita un genere a dispetto dell’altro.

Pensateci bene, quando sentite parlare qualcuno e vi dice che una persona che conoscono è ingegnere, il vostro pensiero va direttamente a collegare ingegnere con uomo, non con donna. Se ci si sforzasse a modificare la lingua, si modificherebbe conseguentemente anche il pensiero; è sempre stato così.

Un’ultima cosa: è facile dire alle donne “dovete alzare la voce, farvi sentire, prendere il vostro destino tra le mani”; certo non serve mica che un uomo ce lo dica, le donne hanno combattuto per i propri diritti a differenza degli uomini.

È facile e scontato scaricare di nuovo il fardello sulle spalle della minoranza e dei discriminati, così non vale; anche gli uomini hanno un ruolo in questa faccenda che è quella di capire il proprio privilegio e cercare di condividerlo.

La realtà e la teoria sono molto diverse però dalla pratica, perché chi ha un privilegio non vuole condividerlo, e perché mai dovrebbe?

Pensiamo alle pratiche ancora condivise e diffuse in contesti prettamente aziendali, in cui le donne che fanno carriera sono spesso vittime dei colleghi. Esperienza condivisa è quella di sentirsi dire, dopo un avanzamento di carriera, “certo, lei fa carriera perché va a letto col capo”; questa tecnica viene utilizzata prevalentemente dagli uomini in quanto è il modo più efficace ed efficiente di svalutare il lavoro della collega e di far leggere tra le righe il concetto che gli uomini sono lì perché se lo meritano, perché sono preparati, mentre le donne no, sono lì perché sono carine e utilizzano il loro corpo per raggiungere determinate posizioni.

Oggettificare il corpo delle donne e svalutare il loro lavoro sono ancora delle pratiche in voga; qui bisognerebbe aprire una parentesi estesa sull’interesse degli uomini di controllare il corpo delle donne e della loro incapacità di venire a patti con la propria coscienza e del fatto che le donne sono preparate quanto o più di loro.

Altra pratica da tenere in considerazione nel contesto lavorativo è il mobbing, specialmente quando le donne rientrano dalla maternità, e proprio parlando di maternità è necessario far notare come nei colloqui ci si focalizzi molto su di essa, ovviamente solo per le donne.

Alle donne al momento dell’assunzione viene richiesto di firmare ancora oggi, nel 2022, le dimissioni in bianco e non credo che io debba spiegarvi per che motivo.

Qualche settimana fa ho seguito un convegno il cui tema verteva proprio sulla parità di genere nel contesto aziendale e vorrei riportare alcune frasi che ritengo problematiche sperando di farvi riflettere.

Oltre a tutte le iniziative che si sono organizzate e istituite per far entrare le donne in determinati contesti, qui si potrebbe discutere sul fatto che le donne siano sempre una sorta di panda in via d’estinzione e che hanno la necessità di crearsi spazi appositi per essere rappresentate, ma non ho intenzione di focalizzarmi su questo aspetto. L’unica cosa che voglio dire è che per quanto le quote rosa siano offensive e facciano sentire le donne come una specie in via d’estinzione, sono altrettanto necessarie per vedere delle donne in determinati contesti.

Ritorniamo sul convegno, la prima frase che onestamente mi ha dato fastidio è stata detta ovviamente da un dirigente uomo, il quale ha definito lo stile manageriale femminile come più “emotivo”.

Di stili manageriali ce ne sono molti, nessuno lo mette in dubbio. Certamente ci sono delle differenze di genere, ma principalmente ci sono delle differenze di personalità; non sarebbe l’ora di sfatare il mito che le donne siano più emotive?

Pensiamo a come vengono percepite le donne quando si pongono con gli stessi atteggiamenti degli uomini; l’uomo viene considerato forte, il boss, mentre la donna un’isterica e quindi bossy.

Scusate, qui ho utilizzato dei termini inglesi che rendono però bene l’idea della differenza, da una parte boss e dall’altra un aggettivo bossy, da una parte degno di rispetto e dall’altra no.

Insopportabile è poi l’utilizzo della parola contaminazione in quanto si parte dal presupposto che ci sia un gruppo, composto da uomini, a cui si debba aggiungere una componente femminile per rendere il tutto più petaloso? O inclusivo?

Altra cosa, tipicamente maschile, è buttarla sempre sul “ritengo che uno debba essere assunto per le proprie capacità e non per il genere”.

Certo, sarebbe desiderabile ciò, ma potrebbe avvenire solo in un contesto in cui gli uomini non detengono tutto il potere e il privilegio.

Di nuovo, è sempre facile scaricare il fardello sulle spalle di qualcun altro e non prendersi mai la responsabilità della società in cui si vive.

In un intervento si è parlato di evoluzione naturale della società che porterà le donne ad avere più peso, io personalmente non concordo; la società non è naturale, non è nata con la natura, ma è nata in quanto c’era bisogno di trovare delle regole comuni che potessero far funzionare fra di loro degli esseri viventi. Pensare che questi cambiamenti a favore delle donne avverranno a prescindere e che noi possiamo solo definire in quanto tempo, è ingenuo. Come ho già detto prima è solo una questione di privilegio e di condivisione di tale privilegio, se non c’è interesse non avverrà mai. Dall’altra mi inchino quando questo dirigente afferma che quando parlano le donne gli uomini non ascoltano, a prescindere dall’età. Questo rende il problema della parità di genere un problema intergenerazionale, ma è scontato in quanto se si vive in una società discriminante l’unica cosa che si conosce è la discriminazione. Questa non è una scusante, ci si potrebbe istruire.

Altra frase, sempre maschile: “io ho sempre collaborato con donne e ci sono sempre andato d’accordo”. Questa è una sintesi spiccia del discorso, ma vorrei focalizzarmi sul concetto che permette al retore di collocare uomini e donne su due piani diversi e soprattutto di considerare le donne come questi esseri con cui bisogna andare d’accordo. Ma non dovrebbe valere per tutti gli esseri umani?

Ultima osservazione: perché, e nel particolare gli uomini, ci si offende quando viene fatto notare che si è molto lontani dall’avere la parità di genere? Buttarla sul “le nuove generazioni sono migliori, quindi quando ce ne andremo i problemi spariranno” è ingenuo. Le nuove generazioni sono sì in parte migliori, perché vivono in una società che sta cercando di cambiare o che alcune persone stanno cercando di cambiare, ma dall’altra sono state cresciute dalle vecchie generazioni e quindi hanno quasi sempre le stesse idee. Di nuovo, non era già stato fatto notare che a prescindere dall’età nei contesti aziendali le donne ricevono meno rispetto? Come si può uscire con un’affermazione del genere?

Vorrei concludere con un’osservazione.

In alcuni discorsi è stato detto che le donne tendono essere più proattive a scuola, che mangiano sulla testa degli uomini a livello di competenza, ecc…

Bene, ma questo non dovrebbe far riflettere sul fatto che le donne però non riescono ad accedere a determinate posizioni e in molti casi ad ottenere il rispetto della controparte maschile? Non è evidente il problema e la discriminazione in atto?

La sintesi di questo convegno credo sia: tante parole poco aderenti alla realtà.

Ne abbiamo ancora di strada da fare.

di Chiara Menapace - giovane a cui affidiamo il nostro futuro (e presente)

ne vogliamo parlare?

 

Da annotare in agenda
28 maggio 2022 (in presenza)

 

Assemblea annuale CONGIUNTA Federmanager Trento e Federmanager Bolzano

apriamoci per un  costruttivo confronto, per scambiare idee e esperienze, per capirci!

a breve comunicheremo i dettagli.
 

Finestra letteraria

Perché tanti uomini incompetenti diventano leader

Tomas Chamorro-Premuzic

 

Gli uomini vengono da Marte, le Donne da Venere.

John Gray

 


Lunedì 7 marzo si è tenuto un incontro con la neo direttrice della Fondazione Caritro dott.ssa Anita Penati e abbiamo confrontato le reciproche opportunità di collaborazione tese a renderle inclusive e rivolte all'ottenimento di ambiziosi obiettivi. 

per il Consiglio Direttivo

Marco Larentis

 
 
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